E ti poggiano.
Così, come suppellettile su una mensola.
A prendere la polvere, a subire l’usura del tempo, l’usura dell’abbandono.
Perché ad essere messi in un angolo ci si consuma più che ad essere portati in giro per il mondo.
E poi, quando se ne ricordano, quando ne hanno voglia, ti prendono.
Ti danno una spolverata veloce e pretendono di averti in tutto il tuo splendore.
Ma tu, intanto, sei diventato un po’ più grigio, un po’ più triste, un po’ più opaco.
E gli vorresti urlare contro che no, tu non sei un oggetto.
Che no, tu non lo meriti.
Che no, non è giusto.
Che è da vigliacchi, che è da malfattori approfittare di chi è in svantaggio, di chi è coinvolto.
E non è vero che gli tornerai in mente con nostalgia e rammarico.
Non è vero che si pentirà e ti rimpiangerà.
L’unica verità è che non può esserci mancanza se non c’è stata presenza.
E loro la tua non la sentiranno.
E urlare non servirà.
E illudersi che possa cambiare neanche.
E consolarsi pensando a una rivalsa men che meno.
Che te ne faresti poi?
Poi non serve più.
Poi non ha più senso.
Poi è troppo tardi.
Subito, adesso, è il momento giusto.
Altrimenti non eri importante.
Altrimenti eri un passatempo da mettere in credenza.
E io di credenza ne ho solo una, che se qualcuno ci tiene non può fare a meno di esserci.
Non può fare a meno di te.
Annina Botta